La Resistenza al Cambiamento

La resistenza al cambiamento è insita nella natura umana e si supera quando si realizza un cambiamento individuale nelle persone che sono oggetto e soggetto del cambiamento stesso.

Favorire la capacità di attuare un vero cambiamento è sempre più importante soprattutto quando la concorrenza diventa globale.

Il fallimento delle iniziative di cambiamento (fusioni, acquisizioni, ristrutturazioni, etc.) è infatti altissimo. Questo perché le persone hanno difficoltà a “lasciare andare” ciò che deve essere lasciato, dando un significato vero a quello che vivono. E, questo disagio, se non ben intercettato e gestito, porta a resistere ed opporsi al cambiamento.

E sono, di fatto, le persone che determinano il cambiamento.

Per questo è importante capire come si sentono le persone man mano che il cambiamento procede in modo da poterle guidare attraverso di esso.

L’insuccesso di un cambiamento richiesto (magari dal mercato, dagli azionisti, etc.) non è certo cosa da poco perché, in concreto significa che la “macchina-Organizzazione” fatica a muoversi, non parte e quindi, non si raggiungono gli obiettivi per cui lo stesso cambiamento è stato ritenuto necessario.

 

Ma perché si resiste al cambiamento?

È nell’istinto umano opporre resistenza ai cambiamenti che arrivano, è un fatto fisiologico che ha a che fare con la conservazione della specie e con l’attitudine radicata nell’essere umano di restare nella propria zona di comfort.

Sicuramente, uno dei motivi per cui si resiste è perché si sente che il rischio di cambiare è più alto del rischio di restare come si è.

Gli esseri umani sono per istinto conservatori

A volte, questa resistenza è inconsapevole, le persone si dichiarano disponibili e resilienti ma poi nei fatti, quando si trovano direttamente coinvolte in un progetto di cambiamento, si pongono in modo antagonista in alcuni casi ostacolandone lo svolgimento. Questo perché la richiesta (spesso molto brusca) di cambiare il proprio modo di lavorare, il proprio contesto di lavoro, di lasciare andare dinamiche ed equilibri ben noti (anche se pure non particolarmente appaganti) è molto difficile.

Le persone sono portate a stringere un legame affettivo con quello che fanno, parte della loro identità è legata al lavoro che svolgono e al modo in cui lo svolgono, alle relazioni e compiti.

Ci si identifica con il gruppo a cui si appartiene (magari da molti anni), ci si può identificare anche con il brand che “si rappresenta”.

È quindi comprensibile come, quando si prospetta che tutto questo verrà meno, che le condizioni di “normalità” salteranno in aria, ci si oppone, si cerca di mantenere le cose come prima, si resiste al cambiamento, perché ci si sente incapaci di affrontarlo.

Il Coaching si colloca proprio in questa fase di caos e incertezza, di perdita del proprio “centro”, perchè supporta (gli individui e i team) nel dare senso al cambiamento, agevolando l’acquisizione di nuovi mindset e quindi l’adozione di nuovi comportamenti.

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